Una comunicazione da zohorfilistin

Gli articoli di questo blog relativi alla natura vengono tutti pubblicati da Nena News Agency, Agenzia di Stampa Vicino Oriente, nella rubrica “Territorio e Identità” e vengono rilanciati con propria presentazione dal quotidiano web  Comufiorine-info. Entrambe le testate sono assolutamente importanti, non per questi articoli sia chiaro, ma per il lavoro veramente prezioso che  svolgono quotidianamente: la prima sul Vicino Oriente e la seconda su tutto ciò che attiene al concetto di “bene comune”.

A queste due testate ora si aggiungerà l’agenzia di stampa internazionale Pressenza con la quale  è appena iniziata una nuova collaborazione a partire dal rilancio dell’articolo sul caprifoglio e che si allargherà ad altri temi, in particolare relativi alla Palestina.

Qualcuno ha scritto che i miei articoli sui “figli verdi della terra” sono ideologici, qualcuno ha scritto addirittura – udite, udite! –  che sono antisemiti! Anzi un sionista convinto si è scagliato con una certa furia (ma l’ho letto solo dopo qualche mese poveraccio!) contro il mio articolo sul Pistacchio, forse perché così, en passant, c’era cascata la dichiarazione di lord Balfour! Qualcun altro invece, al contrario, mi ha chiesto perché limitare questo blog ai fiori di Palestina, cioè zohorfilistin (che poi si legge zuhur) e ho risposto che anc14088739_10210538295398164_1105963145_nhe antologia significa raccolta di fiori (anthos e lego in greco che poi diventa florilegium in latino). Tutti noi abbiamo usato le antologie almeno durante la scuola e abbiamo visto che quei fiori raccolti non si limitavano certo ai fiori spuntati dalla terra!

Bene gli articoli raccolti in  questo blog, invece,  sono soprattutto sulla flora palestinese, ma altri “fiori” potranno aggiungersi man mano, proprio come vuole…. un’antologia!

Bè, per conclfiori di campoudere, vi dico che oltre a qualche critica sionista, mi sono arrivati anche tanti graditi apprezzamenti e per questo sto rilanciando, come mi è stato richiesto, i vecchi articoli. Comunque, oltre che sul mio blog sono tutti rintracciabili nell’archivio di Nena News,  la testata che come ho detto sopra, ha dedicato una specifica rubrica ai figli vegetali della terra palestinese, la rubrica che si chiama, appunto,  “territorio e identità”.

 

DOVUNQUE SPUNTA UN SABER…..

“In tutta la Palestina storica, ovunque vedrai spuntare un saber, fino al 1948 c’era un villaggio arabo.” Questo mi disse un giorno un prete cristiano in Palestina.

E’ cominciata così la mia attenzione al fico d’India, il saber appunto, nome scientifico: Opuntia ficus-indica. Famiglia delle Cactacee, genere Opuntia, specie ficus-indica. Originario del Messico e importato nel vecchio continente nel 1493 dagsaber ormi palestinesili spagnoli che devastarono il nuovo mondo appena scoperto.

Il fico d’India portato nel vecchio mondo si ambientò perfettamente nei climi aridi e tuttora vive bene su terreni pietrosi e assolati come se ne trovano in Palestina, ma anche nelle nostre regioni del Sud.

Gli arabi lo usavano, oltre che per i suoi frutti, per segnare i confini tra i diversi fondi e nelle campagne siciliane  quest’uso è ancora abbondantemente presente come lo era nei villaggi palestinesi. E’ proprio per quest’uso che il prete palestinese mi disse che avrei ancora potuto trovare traccia di alcuni degli oltre 400 villaggi rasi al suolo nel “48 dalle appena nate eppur già così “efficienti” forze israeliane!

In Palestina il fico d’India si è immediatamente naturalizzato e da diversi secoli è talmente diffuso che viene comunemente considerato originario di questa terra, in fondo così accogliente che lo lascia crescere ovunque, accettando che venga rappresentato  come un simbolo identitario quasi al pari dell’olivo.

Per esempio non fu mai rimproverato al regista  Franco Zeffirelli di aver preso la grande cantonata di inserire i fichi d’India nei paesaggi del suo “Gesù di Nazareth”, semmai ci si ride sopra!

Saber in arabo significa anche pazienza e mi dicono che il nome probabilmente nasce dalla pazienza necessaria a privare delle migliaia di spine i suoi buonissimi frutti i quali sono ricchi di calcio, fosforo e vitamina C.

I cladodi, cioè i fusti modificati che sostituiscono le foglie nella fotosintesi clorofilliana e che comunemente sono chiamati pale o, erroneamente, foglie, sono ricchi di una sostanza gelatinosa efficacissima contro gli accessi di tosse e in particolare contro la tosse convulsa.  Una volta privati delle spine sono anche buoni da mangiare, sia cotti che crudi e perfino in marmellata. Se cotti, il loro sapore ricorda quello degli asparagi e, oltre al piacere del gusto, va tenuto presente il loro effetto gastroprotettore  e la capacità di ridurre l’assorbimento di grassi e zuccheri aiutando il metabolismo glico-lipidico. I cladodi sono  un cibo ipocalorico ricco di fibre, pectine e mucillagini, tengono sotto controllo i tassi di glucosio e colesterolo nel sangue e favoriscono la digestione.

Il frutto del fico d’India, chiamato anch’esso fico d’India,  è una bacca, all’esterno ha ciuffi di aculei che ne rendono immangiabile la buccia, mentre all’interno ha una p14012205_10210484057642254_174589535_nolpa dolcissima, mucillaginosa e con molti semi ossei ed oltre ad essere di sapore ottimo ha  proprietà antisettiche, emollienti e lassative ed ha una comprovata  capacità di ritardare la crescita delle cellule tumorali. Inoltre è efficace nella cura del diabete, come le sue pale riduce il tasso di colesterolo nel sangue, è efficace nel curare i disturbi gastrointestinali.  Sia le pale che i frutti contengono poi vitamina A, B1, B2, B3 e C.

In particolare, l’alto contenuto di vitamina C ha fatto di questo cibo una delle prime cure contro lo scorbuto per i lunghi viaggi in mare già dalla fine del 1400. Nei frutti, ma soprattutto nelle pale, si trovano poi minerali importanti quali calcio, magnesio, ferro, potassio e rame.

I fiori del fico d’India sono di una rara bellezza. Spuntano sul marg14037596_10210484000560827_54340842_oine del cladodo ed hanno i petali lucidi e solitamente di colore giallo brillante. Fioriscono in questa stagione e dal loro ovario si sviluppa il frutto che maturerà in piena estate. Volendo, i frutti possono essere anche essiccati e conservati per l’inverno mantenendo molte delle proprietà che hanno da freschi, a parte alcune vitamine che vanno perdute durante l’essiccazione.

In Palestina, dove il saber cresce  praticamente ovunque, potrebbe svilupparsi con facilità una produzione, ovviamente biologica, di frutti essiccati e  le donne di alcuni dei villaggi di Gaza particolarmente massacrati dai bombardamenti israeliani e dalla povertà,  hanno preso in considerazione questa opportunità di cui ho parlato loro  proprio in questi giorni. Ora si tratta di lavorarci affinché possa svilupparsi questa nuova attività che produrrebbe insieme piacere per un cibo particolarmente gustoso e salubre e reddito per chi  vorrà farne un nuovo lavoro.

Oltre all’essiccazione del frutto, questa pianta può offrire facile applicazione in campo erboristico poiché il gel contenuto nei cladodi giovani, e ottenibile per semplice centrifuga, può essere consumato in modeste quantità prima dei pasti. Questo gel, legandosi ai cibi, porta ad un effetto che è insieme gastroprotettore, di controllo della massa ponderale, detossicante in quanto facilita il transito intestinale e, infine, come già detto, riduttore dei livelli di colesterolo e di zuccheri nel sangue. Il tutto con semplice ricorso alla natura la quale,  avendo generosamente accolto un figlio nato in un altro continente, si trova arricchita e pronta a condividere questa ricchezza chiedendo solo un po’ di “saber”, stavolta inteso come pazienza, per liberare dalle spine questo suo figlio oggi diventato palestinese.

Patrizia  Cecconi
 

L’ALLORO, o Laurus nobilis

E le braccia divennero rami e Dafne, ormai immobile alberello di alloro, poté sfuggire così all’impetuoso abbraccio di Apollo. Fermi i suoi piedi divenuti radici. Ferme le sue mani divenute foglie, Apollo non poté più possederla.13871957_10210333609961156_352155313_n

Più o meno così Ovidio racconta la metamorfosi della ninfa Dafne per fuggire all’inseguimento del focoso Apollo. Racconto mitologico che sotto lo scalpello del Bernini si trasformerà in uno  splendido quanto angosciante gruppo marmoreo.

Dafne voleva essere salvata sì, ma per seguitare a correre libera tra boschi e ruscelli come aveva sempre fatto, non per essere immobilizzata nella fissità di un’essenza vegetale. Perché dunque bloccare la ninfa  che era sulla sua terra e non bloccare Apollo che la insidiava? Ovidio non ce lo spiega, ci dice solo che l’alloro divenne la pianta sacra allo stesso dio che ne aveva indirettamente provocato la metamorfosi.

Ma l’alloro scavalca il mito e ci racconta una storia che nella terra in cui ha avuto origine seguita a ripetersi. Ma non si ripete come splendida fantasia letteraria che di ninfe, dei, destino e natura crea un insieme che trasforma la tragedia  in poesia. Si ripete solo come tragedia che vede il tentativo di fermare le braccia di chi vorrebbe correre libero nella propria terra, ma ne è impedito da chi quella terra vorrebbe illegittimamente farla propria.

L’alloro, originario dell’areale mediterraneo – Palestina compresa – cresce spontaneo fino a circa 800 metri slm. Nel Medio Oriente è usato da millenni per le sue proprietà officinali. In particolare la città siriana di Aleppo, oggi distrutta dalla guerra, era famosa già dal 2500 a.C. per il sapone ottenuto con olio essenziale di alloro che, a seconda delle proporzioni usate, aveva (ed ha) proprietà antisettiche, antinfiammatorie, curative per eczemi, dermatiti ed acne, nonché proprietà cosmetiche.     13931656_10210336383870502_564853335_o

L’alberello in questione non ha grandi pretese, del resto come tutti gli alberi che sopravvivono in Palestina, ed il suo esteso apparato radicale gli permette di sopportare bene la siccità. Ciò che non sopporta sono invece i ristagni idrici, ma quelli sono abbastanza difficili in questa terra visto che l’acqua finisce in massima parte agli insediamenti illegali ebraici e le colture palestinesi conoscono piuttosto scarsità che non eccedenza  idrica.

Le infiorescenze maschili e femminili di questa pianta dioica appaiono in primavera. Quelle maschili sono particolarmente belle perché il loro colore si fa quasi dorato e brilla tra le chiome verde intenso costituite dalle foglie coriacee, lanceolate ed aromatiche che coprono i rami in tutte le stagioni. Questa caratteristica fa dell’alloro un’essenza molto diffusa anche come ornamentale. L’impollinazione è anemofila e la pianta femminile, una volta impollinata, produce una drupa piccola, nero-violacea da cui si ricava l’olio essenziale per le tinture officinali utili contro i disturbi cutanei e per il sapone di Aleppo.

Anche le foglie, oltre ai frutti, sono ricche di principi attivi e vengono utilizzate per uso interno in decotti e infusi molto efficaci per alleviare dolori dovuti a gastriti e ulcere e per facilitare la guarigione da coliche addominali. Per uso esterno, invece, come rimedio a dolori reumatici, contusioni e distorsioni, oltre che per disturbi cutanei, è preferibile applicare sulla parte interessata la tintura madre ottenuta  dalle drupe.

Nell’antichità, oltre agli usi officinali, l’alloro era utilizzato come simbolo di sapienza e di gloria e infatti una corona fatta con le sue foglie cingeva la testa di poeti, atleti o condottieri considerati particolarmente degni di lode. Lo stesso termine “laureato” deriva dall’essere stato degno di ricevere il lauro.

Per quanto riguarda il suo utilizzo ornamentale, vediamo che molte statue sono cinte da siepi di alloro. In particolare una di queste lega in qualche modo l’Italia alla Palestina, non tanto per i lauri che una volta la circondavano, quanto per il suo significato storico. E’ la statua eretta a Genova alla memoria di un ragazzo che nel 1746  diede il via all’insurrezione lanciando un sasso contro i soldati occupanti. Al suo lancio seguì una fitta sassaiola che costrinse i soldati a ritirarsi. Dell’identità del ragazzo non c’è certezza, ma del suo gesto sì, tanto che in un documento  governativo del 1747 si legge che  la mano che accese il grande incendio, fu quella di un “picciol ragazzo, che dié di piglio ad un sasso lanciandolo contro un ufficiale”. La statua è ancora lì, ormai un po’ nascosta dai palazzi, ma sempre valida a ricordare che una rivolta contro l’occupante è cosa nobile, degna di “allori” anche se Balilla_a_Portoria-cartolina_d'epocascaturita solo da un gesto di spontanea indignazione e non di strategia  politica. Quest’ultima è importante per vincere, ma dipende dalla capacità della leadership di non mandar persi quei sassi.

Quando anche la Palestina sarà finalmente libera, forse in più d’una città, magari tra siepi di alloro, verrà eretto un monumento simile a quello del ragazzo di Genova che secondo lo storico genovese Federico Donaver, rappresenta non un solo eroico ragazzo, ma “un popolo che, giunto al colmo dell’oppressione, spezza le sue catene e rivendica la libertà”.

Le lucide foglie di alloro sarebbero le piante giuste a circondare questi monumenti per ricordare che il diritto alla libertà non può essere cancellato, neanche ricorrendo a poetiche o fantasiose narrazioni che giustificano l’oppressore e immobilizzano il diritto dell’oppresso. Sarebbe il segnale che mai più verrà fermata Dafne, bensì il suo inseguitore. I principi attivi dell’alloro resterebbero gli stessi e gli scultori come il Bernini darebbero vita alle stesse meravigliose opere pur invertendo i soggetti della metamorfosi.

Patrizia Cecconi