L’ALLORO, o Laurus nobilis

E le braccia divennero rami e Dafne, ormai immobile alberello di alloro, poté sfuggire così all’impetuoso abbraccio di Apollo. Fermi i suoi piedi divenuti radici. Ferme le sue mani divenute foglie, Apollo non poté più possederla.13871957_10210333609961156_352155313_n

Più o meno così Ovidio racconta la metamorfosi della ninfa Dafne per fuggire all’inseguimento del focoso Apollo. Racconto mitologico che sotto lo scalpello del Bernini si trasformerà in uno  splendido quanto angosciante gruppo marmoreo.

Dafne voleva essere salvata sì, ma per seguitare a correre libera tra boschi e ruscelli come aveva sempre fatto, non per essere immobilizzata nella fissità di un’essenza vegetale. Perché dunque bloccare la ninfa  che era sulla sua terra e non bloccare Apollo che la insidiava? Ovidio non ce lo spiega, ci dice solo che l’alloro divenne la pianta sacra allo stesso dio che ne aveva indirettamente provocato la metamorfosi.

Ma l’alloro scavalca il mito e ci racconta una storia che nella terra in cui ha avuto origine seguita a ripetersi. Ma non si ripete come splendida fantasia letteraria che di ninfe, dei, destino e natura crea un insieme che trasforma la tragedia  in poesia. Si ripete solo come tragedia che vede il tentativo di fermare le braccia di chi vorrebbe correre libero nella propria terra, ma ne è impedito da chi quella terra vorrebbe illegittimamente farla propria.

L’alloro, originario dell’areale mediterraneo – Palestina compresa – cresce spontaneo fino a circa 800 metri slm. Nel Medio Oriente è usato da millenni per le sue proprietà officinali. In particolare la città siriana di Aleppo, oggi distrutta dalla guerra, era famosa già dal 2500 a.C. per il sapone ottenuto con olio essenziale di alloro che, a seconda delle proporzioni usate, aveva (ed ha) proprietà antisettiche, antinfiammatorie, curative per eczemi, dermatiti ed acne, nonché proprietà cosmetiche.     13931656_10210336383870502_564853335_o

L’alberello in questione non ha grandi pretese, del resto come tutti gli alberi che sopravvivono in Palestina, ed il suo esteso apparato radicale gli permette di sopportare bene la siccità. Ciò che non sopporta sono invece i ristagni idrici, ma quelli sono abbastanza difficili in questa terra visto che l’acqua finisce in massima parte agli insediamenti illegali ebraici e le colture palestinesi conoscono piuttosto scarsità che non eccedenza  idrica.

Le infiorescenze maschili e femminili di questa pianta dioica appaiono in primavera. Quelle maschili sono particolarmente belle perché il loro colore si fa quasi dorato e brilla tra le chiome verde intenso costituite dalle foglie coriacee, lanceolate ed aromatiche che coprono i rami in tutte le stagioni. Questa caratteristica fa dell’alloro un’essenza molto diffusa anche come ornamentale. L’impollinazione è anemofila e la pianta femminile, una volta impollinata, produce una drupa piccola, nero-violacea da cui si ricava l’olio essenziale per le tinture officinali utili contro i disturbi cutanei e per il sapone di Aleppo.

Anche le foglie, oltre ai frutti, sono ricche di principi attivi e vengono utilizzate per uso interno in decotti e infusi molto efficaci per alleviare dolori dovuti a gastriti e ulcere e per facilitare la guarigione da coliche addominali. Per uso esterno, invece, come rimedio a dolori reumatici, contusioni e distorsioni, oltre che per disturbi cutanei, è preferibile applicare sulla parte interessata la tintura madre ottenuta  dalle drupe.

Nell’antichità, oltre agli usi officinali, l’alloro era utilizzato come simbolo di sapienza e di gloria e infatti una corona fatta con le sue foglie cingeva la testa di poeti, atleti o condottieri considerati particolarmente degni di lode. Lo stesso termine “laureato” deriva dall’essere stato degno di ricevere il lauro.

Per quanto riguarda il suo utilizzo ornamentale, vediamo che molte statue sono cinte da siepi di alloro. In particolare una di queste lega in qualche modo l’Italia alla Palestina, non tanto per i lauri che una volta la circondavano, quanto per il suo significato storico. E’ la statua eretta a Genova alla memoria di un ragazzo che nel 1746  diede il via all’insurrezione lanciando un sasso contro i soldati occupanti. Al suo lancio seguì una fitta sassaiola che costrinse i soldati a ritirarsi. Dell’identità del ragazzo non c’è certezza, ma del suo gesto sì, tanto che in un documento  governativo del 1747 si legge che  la mano che accese il grande incendio, fu quella di un “picciol ragazzo, che dié di piglio ad un sasso lanciandolo contro un ufficiale”. La statua è ancora lì, ormai un po’ nascosta dai palazzi, ma sempre valida a ricordare che una rivolta contro l’occupante è cosa nobile, degna di “allori” anche se Balilla_a_Portoria-cartolina_d'epocascaturita solo da un gesto di spontanea indignazione e non di strategia  politica. Quest’ultima è importante per vincere, ma dipende dalla capacità della leadership di non mandar persi quei sassi.

Quando anche la Palestina sarà finalmente libera, forse in più d’una città, magari tra siepi di alloro, verrà eretto un monumento simile a quello del ragazzo di Genova che secondo lo storico genovese Federico Donaver, rappresenta non un solo eroico ragazzo, ma “un popolo che, giunto al colmo dell’oppressione, spezza le sue catene e rivendica la libertà”.

Le lucide foglie di alloro sarebbero le piante giuste a circondare questi monumenti per ricordare che il diritto alla libertà non può essere cancellato, neanche ricorrendo a poetiche o fantasiose narrazioni che giustificano l’oppressore e immobilizzano il diritto dell’oppresso. Sarebbe il segnale che mai più verrà fermata Dafne, bensì il suo inseguitore. I principi attivi dell’alloro resterebbero gli stessi e gli scultori come il Bernini darebbero vita alle stesse meravigliose opere pur invertendo i soggetti della metamorfosi.

Patrizia Cecconi

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