“In tutta la Palestina storica, ovunque vedrai spuntare un saber, fino al 1948 c’era un villaggio arabo.” Questo mi disse un giorno un prete cristiano in Palestina.
E’ cominciata così la mia attenzione al fico d’India, il saber appunto, nome scientifico: Opuntia ficus-indica. Famiglia delle Cactacee, genere Opuntia, specie ficus-indica. Originario del Messico e importato nel vecchio continente nel 1493 dagli spagnoli che devastarono il nuovo mondo appena scoperto.
Il fico d’India portato nel vecchio mondo si ambientò perfettamente nei climi aridi e tuttora vive bene su terreni pietrosi e assolati come se ne trovano in Palestina, ma anche nelle nostre regioni del Sud.
Gli arabi lo usavano, oltre che per i suoi frutti, per segnare i confini tra i diversi fondi e nelle campagne siciliane quest’uso è ancora abbondantemente presente come lo era nei villaggi palestinesi. E’ proprio per quest’uso che il prete palestinese mi disse che avrei ancora potuto trovare traccia di alcuni degli oltre 400 villaggi rasi al suolo nel “48 dalle appena nate eppur già così “efficienti” forze israeliane!
In Palestina il fico d’India si è immediatamente naturalizzato e da diversi secoli è talmente diffuso che viene comunemente considerato originario di questa terra, in fondo così accogliente che lo lascia crescere ovunque, accettando che venga rappresentato come un simbolo identitario quasi al pari dell’olivo.
Per esempio non fu mai rimproverato al regista Franco Zeffirelli di aver preso la grande cantonata di inserire i fichi d’India nei paesaggi del suo “Gesù di Nazareth”, semmai ci si ride sopra!
Saber in arabo significa anche pazienza e mi dicono che il nome probabilmente nasce dalla pazienza necessaria a privare delle migliaia di spine i suoi buonissimi frutti i quali sono ricchi di calcio, fosforo e vitamina C.
I cladodi, cioè i fusti modificati che sostituiscono le foglie nella fotosintesi clorofilliana e che comunemente sono chiamati pale o, erroneamente, foglie, sono ricchi di una sostanza gelatinosa efficacissima contro gli accessi di tosse e in particolare contro la tosse convulsa. Una volta privati delle spine sono anche buoni da mangiare, sia cotti che crudi e perfino in marmellata. Se cotti, il loro sapore ricorda quello degli asparagi e, oltre al piacere del gusto, va tenuto presente il loro effetto gastroprotettore e la capacità di ridurre l’assorbimento di grassi e zuccheri aiutando il metabolismo glico-lipidico. I cladodi sono un cibo ipocalorico ricco di fibre, pectine e mucillagini, tengono sotto controllo i tassi di glucosio e colesterolo nel sangue e favoriscono la digestione.
Il frutto del fico d’India, chiamato anch’esso fico d’India, è una bacca, all’esterno ha ciuffi di aculei che ne rendono immangiabile la buccia, mentre all’interno ha una polpa dolcissima, mucillaginosa e con molti semi ossei ed oltre ad essere di sapore ottimo ha proprietà antisettiche, emollienti e lassative ed ha una comprovata capacità di ritardare la crescita delle cellule tumorali. Inoltre è efficace nella cura del diabete, come le sue pale riduce il tasso di colesterolo nel sangue, è efficace nel curare i disturbi gastrointestinali. Sia le pale che i frutti contengono poi vitamina A, B1, B2, B3 e C.
In particolare, l’alto contenuto di vitamina C ha fatto di questo cibo una delle prime cure contro lo scorbuto per i lunghi viaggi in mare già dalla fine del 1400. Nei frutti, ma soprattutto nelle pale, si trovano poi minerali importanti quali calcio, magnesio, ferro, potassio e rame.
I fiori del fico d’India sono di una rara bellezza. Spuntano sul margine del cladodo ed hanno i petali lucidi e solitamente di colore giallo brillante. Fioriscono in questa stagione e dal loro ovario si sviluppa il frutto che maturerà in piena estate. Volendo, i frutti possono essere anche essiccati e conservati per l’inverno mantenendo molte delle proprietà che hanno da freschi, a parte alcune vitamine che vanno perdute durante l’essiccazione.
In Palestina, dove il saber cresce praticamente ovunque, potrebbe svilupparsi con facilità una produzione, ovviamente biologica, di frutti essiccati e le donne di alcuni dei villaggi di Gaza particolarmente massacrati dai bombardamenti israeliani e dalla povertà, hanno preso in considerazione questa opportunità di cui ho parlato loro proprio in questi giorni. Ora si tratta di lavorarci affinché possa svilupparsi questa nuova attività che produrrebbe insieme piacere per un cibo particolarmente gustoso e salubre e reddito per chi vorrà farne un nuovo lavoro.
Oltre all’essiccazione del frutto, questa pianta può offrire facile applicazione in campo erboristico poiché il gel contenuto nei cladodi giovani, e ottenibile per semplice centrifuga, può essere consumato in modeste quantità prima dei pasti. Questo gel, legandosi ai cibi, porta ad un effetto che è insieme gastroprotettore, di controllo della massa ponderale, detossicante in quanto facilita il transito intestinale e, infine, come già detto, riduttore dei livelli di colesterolo e di zuccheri nel sangue. Il tutto con semplice ricorso alla natura la quale, avendo generosamente accolto un figlio nato in un altro continente, si trova arricchita e pronta a condividere questa ricchezza chiedendo solo un po’ di “saber”, stavolta inteso come pazienza, per liberare dalle spine questo suo figlio oggi diventato palestinese.
Patrizia Cecconi
E chi le sapeva tutte queste cose, io mangiavo solo i frutti, ma che si possa mangiare le pale e fare della marmellata è fantastico. Se tieni conferenze e lezioni mi pacerebbe invitarti ad una delle nostre serate estive.
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Ma certo Gianni! Magari, visto che ti leggo solo ora, sarà per l’estate prossima!!!
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Ciao Gianni , APRO SOLO ORA IL MIO BLOG e leggo il tuo commento, ma credo che ci siamo già sentiti via mail a proposito di questo qualche tempo fa. Ora sto per iniziare un corso a Gaza proprio su questo tema 🙂
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